La rete stradale di un Paese esteso come l’Italia costituisce un patrimonio a cui nessuno pensa in termini di valore economico. Trascurandolo, ovvero non provvedendo alla necessaria manutenzione, se ne perde il valore anno dopo anno, fino ad arrivare al punto in cui il ripristino diventa problematico e serve una vera RICOSTRUZIONE. E’ quello che sta succedendo oggi in Italia.
La produzione di conglomerato bituminoso negli ultimi 8 anni è fortemente diminuita passando da oltre 44 milioni di t a poco più di 22 milioni per anno. C’è stato quindi un calo del 50%. Dal 2006 al 2014, per motivi vari tra cui anche, il rispetto del Patto di Stabilità, gli enti gestori che controllano la rete stradale italiana, non hanno messo in opera ben 96 milioni di t di prodotto! Le conseguenze di tutto ciò sono perfettamente visibili agli occhi di tutti! Basta dare uno sguardo alla strada che stiamo percorrendo per accorgerci che buche, deformazioni, lesioni, sconnessioni dei piani stradali, ecc. sono all’ordine del giorno con gravi ripercussioni sulla sicurezza degli utenti della strada.
Per mantenere in un “normale stato di efficienza” la rete stradale del nostro paese, SITEB calcola che sia indispensabile mettere in opera ogni anno almeno 40 – 42 milioni di t di conglomerato bituminoso. Ora sono meno di 20; ciò significa che 1 strada su 2 è a rischio di incidente! Ma c’è di più! Se il calo della produzione del conglomerato bituminoso è avvenuto in maniera progressiva e lineare, di contro, il DEGRADO della pavimentazione è avanzato con ritmo ESPONENZIALE. Quando non si rifanno i “tappetini d’usura” (così chiamati proprio perché sono destinati a consumarsi nel tempo) nei tempi convenuti, sulla superficie stradale si formano delle spaccature su cui si infiltra l’acqua meteorica che lentamente penetra nella pavimentazione e scava dei solchi sempre più profondi che procedono fino allo strato di fondazione. La fondazione, a sua volta sollecitata dei carichi ripetuti del traffico e non più protetta dalle infiltrazioni d’acqua, si rompe formando delle “cricche” sulle fibre tese che si trasformano in lesioni e rapidamente risalgono verso l’alto. A questo punto la sovrastruttura stradale non può più garantire la “portanza”, ed è completamente “rotta” e non più riparabile con gli ordinari interventi di ripristino dei manti superficiali. Non basta ricaricare il “tappeto d’usura”, occorre intervenire in profondità e non si tratta più di manutenzione ordinaria ma di interventi di manutenzione straordinaria molto costosi! Ammonta a 9 MLD di euro il valore del materiale che non è stato messo in opera in questi anni ma SITEB stima che per riportare le strade al livello del 2006 sia oggi necessario spendere tra i 40 e i 50 MLD di euro!
Ma quanto vale il patrimonio stradale italiano?
La rete stradale Italiana è lunga circa 500.000 Km ( un dato ufficiale non esiste!) di cui 7.000 circa sono i km di autostrade e 25.000 i Km gestiti direttamente dall’ANAS. Per i resto, il grosso della rete è in mano alle Regioni, Provincie e Comuni. La situazione però è davvero disastrosa soprattutto per quanto attiene la viabilità su strade gestite da Comuni e Provincie. La viabilità sulle autostrade e sulla rete nazionale non versa fortunatamente nelle medesime pessime condizioni.
Il PATRIMONIO delle nostre infrastrutture viarie è difficilmente quantificabile! L’Italia, lunga e stretta è, geomorfologicamente parlando, un territorio prevalentemente montuoso. Gallerie, ponti e viadotti caratterizzano la rete nazionale e costituiscono la componente maggiore del costo di costruzione. SITEB però ha stimato un valore per la realizzazione della SOVRASTRUTTURE ovvero del solo nastro stradale composto da strati sovrapposti di materiali vari di cui l’ultimo verso l’alto è proprio il CONGLOMERATO BITUMINOSO. La stima porta all’incredibile valore di 1.000 MLD di euro!
Il sotto investimento di questi anni ha sicuramente ridotto il valore economico del patrimonio stradale eppure, la qualità delle infrastrutture è uno degli indici per attrarre investimenti in un Paese. In tutti i Paesi, le infrastrutture del trasporto costituiscono un fondamentale patrimonio pubblico che accompagna la crescita economica; la conservazione del loro valore è un investimento per il futuro e un obbligo per gli amministratori della “cosa pubblica”.
Il sotto-investimento crea invece un meccanismo perverso che fa lievitare i costi della manutenzione ordinaria, creando un nuovo tipo di debito, detto anche ”debito grigio o “invisibile” (per gli asfalti corrisponde e quei 40 – 50 MLd di euro poco sopra citati). È quindi importante stabilire un budget da destinare alla manutenzione periodica della rete stradale, e non lasciarla deteriorare in modo irreversibile.
La MANUTENZIONE costa molto meno della RICOSTRUZIONE esattamente come “prevenire è meglio che curare”.
L’Italia è stata la prima a dotarsi di moderne autostrade poi si è fermata! Ora ne paghiamo le conseguenze! Non tanto in termini di nuove realizzazioni quanto in termini di qualità e funzionalità delle stesse! Non è accettabile che le Provincie siano costrette, come è accaduto recentemente, a vietare la circolazione su alcune strade perché non possono garantirne la fruibilità in sicurezza! Ed è altrettanto vergognoso che sulle tratte ANAS vi siano carreggiate chiuse per buche e deformazioni del manto stradale con cartelli di limitazione della velocità.
C’è infine un ultimo aspetto ancora da indagare, ed è l’ aspetto ambientale!
Oggi si parla molto di GREEN ECONOMY (economia dello sviluppo sostenibile) come dell’unica via per produrre bene e servizi senza sprecare le risorse del pianeta per migliorare il nostro benessere garantendo anche le future generazioni. In quest’ambito, si innesta l’ancor più recente concetto di “CIRCULAR ECONOMY”. In pratica si tratta di produrre e realizzare prodotti, beni e servizi secondo una logica diversa e senza produrre rifiuti.
Nei sistemi ad economia circolare i prodotti mantengono il loro valore aggiunto il più a lungo possibile e i rifiuti sono pochissimi. Il conglomerato bituminoso è un esempio perfetto di applicazione della “circular economy”! E’ un prodotto necessario e indispensabile per mantenere in efficienza la rete, può essere realizzato e messo in opera con nuove metodologie più innovative ed ecosostenibili e in fine, può essere riciclato numerose volte senza mai diventare un rifiuto.
Il FRESATO D’ASFALTO ovvero il conglomerato bituminoso proveniente dalla pavimentazione preesistente, vecchia e ammalorata, è un materiale TOTALMENTE RICICLABILE. Esso è composto esattamente con gli stessi materiali costituenti del CONGLOMERATO BITUMINOSO VERGINE (aggregati lapidei 95% e bitume 5%) e una volta “fresato”, basta rivitalizzare il bitume con un po’ di calore o con l’aggiunta di emulsione (bitume disciolto in acqua) per riattivare il suo potere legante e il “fresato” torna ad essere “conglomerato bituminoso”.
Ovviamente ho semplificato ed estremizzato il concetto tuttavia, tra i materiali provenienti dalla demolizione edilizia, l’unico che può essere riutilizzato senza alcun preventivo trattamento diverso dalla normale pratica industriale, è il fresato d’asfalto. Il fresato d’asfalto, tecnicamente perfetto e totalmente riciclabile, è quindi il miglior costituente per riprodurre conglomerato bituminoso!
Di fronte ad un tale prodotto, disponibile e abbondante (basta guardare come è ridotta la rete stradale italiana per capire che per il risanamento occorrerà intervenire in profondità con una produzione altissima di fresato) ci troviamo agli ultimi posti in Europa in tema di riciclaggio e recupero. E questo perché? Prevalentemente per manza di cultura generale. Gli enti pubblici che rilasciano le autorizzazioni lo considerano un rifiuto speciale la cui non pericolosità è comunque da accertare, pertanto impongono norme severissime sul suo riutilizzo! I gestori della rete, committenti, nulla prescrivono al riguardo sui capitolati d’appalto temendo di riutilizzare un prodotto di serie B. Le imprese che eseguono i lavori, lo vedono invece come una risorsa incredibile che loro stesse producono ma che non possono liberamente utilizzare per via del regime vessatorio e farraginoso in cui è inserito.
In conclusione, ogni anno distruggiamo montagne per procurarci nuovo inerte, importiamo più petrolio per produrre bitume, spendiamo più soldi in energia e in trasporti per rifare i manti stradali e abbiamo montagne di fresato d’asfalto inutilizzato e a rischio “discarica”! si tratta di almeno 10.000.000 di t di fresato asportate ogni anno a fronte di una produzione di conglomerato pari a 22.000.000 di t. Di sola materia prima, senza considerare i vantaggi ambientali, ogni anno si sprecano in Italia almeno 500 milioni di euro di mancato riciclaggio.
Per passare ad un’economia circolare, produrre crescita e apportare sostenibilità ambientale, occorrerà rivedere qualcosa introducendo cambiamenti nella catena produttiva e rieducando il mercato. Occorrerà dare un forte impulso innovativo, non solo sul piano della tecnologia, ma anche su quello dell’organizzazione, della società, dei metodi di finanziamento e soprattutto nelle politiche gestionali. Quest’ultimo aspetto è quello che mi preoccupa maggiormente!