Sul problema delle scelte infrastrutturali in Italia è maturo un ripensamento radicale delle politiche che si sono affermate negli ultimi quindici anni. Di recente si è aperta una riflessione a tutto campo sulle norme, le procedure e gli strumenti speciali per la realizzazione delle infrastrutture strategiche derivanti dalla legge Obiettivo, a seguito delle inchieste della magistratura che hanno coinvolto le strutture dedicate del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
In particolare, il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone in interviste e dichiarazioni rilasciate il 19 marzo 2015 a “Servizio pubblico” (La 7) e il 27 marzo a Il Sole 24 Ore ha rilevato, dopo aver affermato che la legge Obiettivo è “criminogena”:“il completo fallimento di uno strumento che non ha reso il sistema né più efficiente, né più trasparente”
Il Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Graziano Delrio, da poco insediato nel suo nuovo ruolo, in una intervista comparsa su La Repubblica il 12 aprile ha dichiarato che è venuto il tempo di sfatare “il mito delle grandi opere” e che si deve tornare alle procedure ordinarie, mettendo fine alle procedure d’emergenza, alle varianti in corso d’opera, ai General Contractor e alla tabella della legge Obiettivo.
Ma anche il mondo imprenditoriale sta dando il suo contributo nell’importante Manifesto “Nove idee per una nuova cultura delle infrastrutture” elaborato dal Laboratorio Infrastrutture del Politecnico di Milano e da Autostrade per l’Italia dell’aprile scorso si rileva che: “l’enfasi sulle grandi direttrici ha così fatto perdere di vista alla politica e all’opinione pubblica il gravissimo gap dei collegamenti tratta per tratta delle direttrici e soprattutto l’accessibilità ai “nodi” all’interno dei quali si sovrappongono e si intrecciano funzioni di lungo raggio con funzioni di servizio della mobilità di breve raggio (…). E si aggiunge che “le infrastrutture non sono per definizione, né necessarie, né sufficienti. Devono poter essere utili: alla mobilità di una comunità, alla competitività dell’industria, allo sviluppo turistico di un territorio”.
Sulla stessa lunghezza d’onda organizzazioni rappresentative degli interessi collettivi dei cittadini quali le associazioni ambientaliste (con in prima fila il WWF) che hanno denunciato, sin dal 2001, i difetti di norme e procedure speciali per le cosiddette infrastrutture strategiche che hanno legittimato uno slittamento concettuale dalla logica pianificatoria del Piano Generale dei Trasporti e della Logistica del marzo 2001 – inscritta in un quadro di compatibilità ambientali, economiche, sociali e trasportistiche – ad una logica realizzativa della singola opera, che diviene priorità incontestabile in quanto individuata dal Programma, a prescindere dalla domanda di mobilità esistente e potenziale, e localizzata, a prescindere dai reali impatti ambientali, in funzione di un superiore interesse nazionale contro anche la volontà delle comunità locali coinvolte
Il Primo Programma delle infrastrutture strategiche (Delibera CIPE 121/20011 e successive integrazioni) ha fallito nella sua funzione di indicazione delle priorità e costituisce ancora oggi un pesante condizionamento per lo sviluppo del Paese come dimostra il fatto che sia il numero delle opere previste, che i suoi costi complessivi continuano a lievitare, senza controllo: dalle 115 opere del dicembre 2001 per un costo complessivo di 125,8 miliardi di euro, alle attuali 419 infrastrutture per un valore complessivo di circa 383,9 miliardi di euro (con un costo triplicato al dicembre 2014 rispetto a quanto previsto nel 2001) calcolato nel IX Rapporto sulle infrastrutture strategiche (dicembre 2014), elaborato dal Servizio Studi della Camera dei Deputati, in collaborazione con l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori Servizi e Forniture e con il supporto tecnico di CRESME e ISTITUTO NOVA.
E le scelte trasportistiche derivanti dalla legge Obiettivo sottraggono risorse pubbliche alle vere priorità del Paese (rete logistica e aree metropolitane) favorendo la realizzazione di grande opere di trasporto per servire la mobilità nelle lunghe distanze: rispetto al costo complessivo attualizzato di 383,9 miliardi di euro, il 52% dell’investimento programmato attiene ad opere perlopiù autostradali (circa 148 Mld di euro), mentre solo il 35% attiene ad opere ferroviarie (93 Mld di euro, privilegiando tutt’oggi la realizzazione di linee ad Alta Velocità).
Non solo gli effetti positivi di quesrte politiche sono stati deludenti, ma quelli negativi sono evidenti: il potenziamento di grandi assi stradali e la costruzione di nuove infrastrutture autostradali, in particolare, hanno favorito la dispersione urbana, in assenza spesso di servizi per la mobilità, l’aumento del consumo del suolo e la sub-urbanizzazione del territorio.
Ed è invece dalle città, dalle grandi aree metropolitane, dalle reti logistiche di interscambio che si dovrebbe partire ricordando, come documentava l’Allegato Infrastrutture al Documento di Programmazione Economico Finanziaria – DPEF del 2009, che il costo della congestione urbana, dove vive il 40% della popolazione italiana, superava già nel 2008 i 9 miliardi di euro.
La congestione insostenibile delle città ha i suoi costi in termini di danni alla salute e all’ambiente, derivanti dalle emissioni: la Campagna “Mal’Aria” 2014 ha consentito di rilevare che su 88 capoluoghi di provincia ben il 37% ha superato il livelli di PM10 in almeno una centralina e, se si prendono in considerazione le emissioni di gas serra, bisogna ricordare che il settore dei trasporti pesa per oltre un quarto delle emissioni totali e nel campo dei consumi energetici per quasi il 30% dei consumi di energia primaria.
Per tutti questi motivi si chiede un’inversione di tendenza che consenta di ripensare in maniera sostanziale alle regole vigenti in materia di valutazioni ambientali e alle regole per l’affidamento dei lavori, di puntare sulla qualità della pianificazione e della progettazione di infrastrutture di trasporto, che favoriscano la intermodalità e i vettori meno inquinanti, di liberare le risorse pubbliche necessarie per soddisfare la reale domanda di mobilità degli italiani.